IL TRENO PER IL DARJEELING (2007)

Directed by Wes Anderson

IL TRENO PER IL DARJEELING (2007)

Ieri sera ho avuto modo di rivedere The Darjeeling Limited, film di Wes Anderson, uscito nel 2007. La mia prima visione risale a quasi dieci anni fa, e spinto dalla nostalgia per quello che mi ricordavo essere un capolavoro, ho deciso di riguardarlo.

Ricordo di averlo visto la prima volta senza grosse aspettative, probabilmente senza averlo associato alla regia di Wes Anderson, il che mi ha permesso di avere un giudizio più sincero e meno influenzato dalla sua fama. Ciò che mi ha affascinato è stato il dinamismo della scena, l’immediata immersione e normalizzazione della stravaganza dei protagonisti, della struttura delle loro relazioni, e la comicità nascosta in tematiche più profonde come il lutto, la fratellanza e il desiderio di auto-guarigione ("per questi non serve la prescrizione").

In effetti, tutto ciò fa sì che The Darjeeling Limited sia personalmente il mio preferito di Wes Anderson. Ad oggi, ricopre un piccolo posto speciale nel mio cuore, nonostante anche la profonda passione per lobby boy del Grand Budapest Hotel.


La trama del film si snoda intorno al tentativo di riconciliazione di tre fratelli che intraprendono un percorso “pseudo spirituale” (cosa c’è di meglio dell’India per un viaggio del genere?) per “ri”-conoscersi. Gli intenti sono buoni, ma poco pratici. I tentativi di seguire la retta via, scandita da slogan universalmente riconoscibili come degni di essere seguiti, falliscono miseramente. E forse i buoni intenti non bastano, in fondo anche un treno che viaggia su binari si puo' perdere.


Francis, Peter e Jack hanno ognuno il proprio ideale di viaggio e di riscoperta. All'inizio, ciascuno di loro ha delle aspettative che si scontrano con la realtà del loro rapporto e delle loro esperienze personali. Il dialogo iniziale tra i tre, in cui Francis chiede loro di impegnarsi a fare un viaggio spirituale vero e proprio, è emblematico: ogni promessa fatta è rapidamente infranta dalle loro azioni, che spesso non corrispondono nemmeno lontanamente a quello che avevano dichiarato di volere. Un elemento che rende tutto questo ancora più tragico e allo stesso tempo comico.

Francis: "A: Voglio che diventiamo di nuovo fratelli come lo eravamo e che ci ritroviamo, possiamo essere d’accordo su questo?"
Peter: "Ok."
Francis: "B. Voglio che facciamo di questo viaggio un cammino spirituale dove ciascuno di noi cerchi l’ignoto e lo impari. Possiamo essere d’accordo su questo?"
Jack: "Certo."Peter: "Credo di sì."
Francis: "C. Voglio che siamo completamente aperti e diciamo sì a tutto, anche se è scioccante e doloroso. Possiamo essere d’accordo su questo?"

La tematica che prevale nella mia mente è quella del voler fare meglio, ma trovarsi intrappolati in schemi auto-distruttivi. Allontanarsi da una situazione scomoda, magari non parlando per un anno con i tuoi fratelli dopo la morte del padre, e capire che quando ci si ri-incontra, forse quell’anno non ha cambiato proprio nulla.

Emblematico in questo senso è il flashback del recupero della Porsche prima del funerale: trasportati nel passato, ci rendiamo conto che non è dissimile dal presente. Scappare quindi non aiuta. Non ha aiutato la madre, che si ritrova a scappare dal posto in cui era scappata, non ha aiutato Francis, che si schianta durante la fuga, non ha aiutato Peter, il cui tentativo di "divorzio nel futuro" viene stroncato dalla nascita del figlio, e non ha aiutato Jack, che si ritrova a controllare di nascosto i messaggi della sua ex. La fuga, nel film, è il tentativo di distaccarsi da un dolore mai elaborato. La morte del padre e la separazione tra i fratelli sono il motore che spinge questi personaggi a un incontro di riconciliazione. Ma in realtà, il film suggerisce che il passato non si può semplicemente dimenticare. E forse, anzi, non c’è neanche bisogno di andare dall’altro lato del mondo per confrontarsi con sé stessi.

Il viaggio fisico attraverso l’India si collega al viaggio interiore dei personaggi: adoro la scelta dell’India, la patria dei viaggi per trovare se stessi. In realtà, viene usata per far capire che non serve (magari aiuta) scappare dall’altro capo del mondo per risolvere i propri problemi. In quest’ottica, ho trovato il vibe gurureggiante molto sarcastico nei confronti di chi pensa che i viaggi spirituali non abbiano valenza se non in luoghi che ci sono sconosciuti. Tale rappresentazione, chiaramente volutamente non autentica, serve solo come critica.

Ps: Una frase una citazione che trovo aver ossesionato il popolo dell'Internet e' Jack che chiede: "I wonder if the three of us would've been friends in real life. Not as brothers, but as people." Quello che trovo piu' affascinante e' invece la risposta a questa domanda da Peter: "Maybe we would've had a better shot."